COMUNIONE E CONDOMINIO - PARTI COMUNI - Cass. civ. Sez. II, 15-02-2018, n. 3739

COMUNIONE E CONDOMINIO - PARTI COMUNI - Cass. civ. Sez. II, 15-02-2018, n. 3739

La motivazione resa dalla Corte di Appello in ordine alla presunzione di comproprietà di un bene, ai sensi dell'art. 1117 c.c., è del tutto insufficiente ove al fine di escludere la presunzione di contitolarità di una corte comune si limiti ad affermare che la parte non abbia chiesto alcun accertamento istruttorio sul punto e che dagli atti emerga che l'unità di proprietà della stessa non confini con la corte anzidetta. In tema di condominio di edifici, invero, la presunzione legale di comunione di talune parti trova applicazione anche nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano - Presidente -

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -

Dott. ABETE Luigi - Consigliere -

Dott. VARRONE Luca - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7060/2013 proposto da:

F.T., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell'avvocato CRISTINA DELLA VALLE, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIUSEPPE ROMUALDI;

- ricorrenti -

contro

D.B., (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI 11, presso lo studio dell'avvocato DINO VALENZA, che lo rappresenta e difende;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 2847/2012 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 28/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Cristina Della Valle e Stefano Valenza in sostituzione dell'avv. Massimo Valenza.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno, rigettava la domanda di F.T. di condanna di D.B. al ripristino dello stato dei luoghi in relazione a una ringhiera, un tettuccio, un sottotetto con sopralzo e due vedute realizzati in asserita violazione dell'art. 905 c.c., rispetto ad un terreno di sua proprietà.

2. F.T. proponeva appello, la Corte d'appello di Milano, respingeva l'impugnazione in relazione a tutti i motivi proposti e confermava la sentenza di primo grado.

In particolare la Corte d'appello rilevava che, con riferimento alla sopraelevazione, il giudice di prime cure aveva correttamente sostenuto che mancava la prova della proprietà dell'attrice sulla corte comune, in quanto dall'atto di donazione prodotto non risultava che tra le pertinenze vi fosse anche una quota di comproprietà dell'area suddetta. Inoltre non era stato chiesto alcun accertamento istruttorio per dimostrare la contitolarità del bene ai sensi dell'art. 1117 c.c..

3. Quanto alla sopraelevazione, secondo l'esito della consulenza tecnica, la stessa rispettava la normativa sulle distanze tra fabbricati. Per i sopralzi, la normativa locale sulle distanze imponeva l'obbligo del rispetto delle norme del codice civile.

La doglianza dell'appellante doveva essere disattesa anche perchè il D.M. n. 1444 del 1968, è diretto ad imporre dei limiti edilizi ed urbanistici ai Comuni e non può considerarsi immediatamente operante nei rapporti tra privati, e oltretutto, come accertato dalla consulenza tecnica d'ufficio, il decreto non era applicabile trattandosi di una zona A (centro storico) e, precisamente A1-R, cioè centri di antica formazione.

Dovendosi applicare la normativa codicistica la consulenza tecnica d'ufficio aveva accertato che il manufatto era ad una distanza variabile da 3,86 a 4,22 mt dal fondo di cui al mappale (OMISSIS).

4. In riferimento alla vedute la Corte d'Appello ribadiva la motivazione del Tribunale circa la mancanza di prova della comproprietà della F. sulla corte comune, in quanto ciò che risultava dal catasto non poteva provare il diritto reale e, oltre a doversi escludere in base alle planimetrie la contitolarità della F., non poteva attribuirsi valore confessorio rispetto alle osservazioni alle relazioni peritali effettuate dalla controparte, essendo le stesse limitate alla dichiarazione di comproprietà di una ristretta porzione tra il fondo di cui ai mappali (OMISSIS).

5. In relazione alla ringhiera la sentenza impugnata confermava quanto rilevato dal giudice di primo grado circa la preesistenza del balcone con la ringhiera, realizzati tra il 1988 e il 1989, in accoglimento dell'eccezione di usucapione del diritto del convenuto a mantenere quella posizione.

La Corte d'Appello affermava anche che l'usucapione può essere eccepita per contrastare l'azione di carattere reale della controparte senza necessità di formulare una domanda apposita. Infine rispetto al tettuccio condivideva la motivazione del giudice di primo grado che lo aveva ritenuto elemento accessorio e non nuova costruzione e quindi non rientrante nelle opere soggette alle distanze ex art. 905 c.c. e neanche soggetto alla disciplina ex art. 873 c.c..

6. Avverso la suddetta sentenza F.T. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso D.B..

7. La ricorrente, in prossimità dell'udienza, ha depositato memoria illustrativa, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso si articola in tre distinte censure.

1.1 La prima censura è così rubricata: "violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver ritenuto assolto l'onere probatorio in ordine al diritto di comproprietà della ricorrente F.T., sull'immobile corte al foglio (OMISSIS) Comune di (OMISSIS), mapp. n. (OMISSIS)".

La ricorrente premette che avendo agito in negatoria servitutis aveva l'onere di fornire una prova meno rigorosa di quella richiesta nell'azione di rivendica, in relazione alla proprietà del terreno che legittimava la sua domanda. In tal caso, infatti, è sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo, anche in via presuntiva, di possedere il fondo in virtù di un titolo valido, non essendo la titolarità del bene oggetto della causa.

1.2 In ogni caso la dimostrazione della proprietà del mappale (OMISSIS) era stata offerta attraverso il deposito di più documenti, tra i quali l'atto pubblico 9 dicembre 1978, le misure catastali, le planimetrie depositate presso il catasto, la CTU espletata nel giudizio n. 71 del 2003 pendente tra le medesime parti e mai contestata; la relazione tecnica con la quale la parte resistente attraverso il suo tecnico di fiducia aveva dedotto che la porzione di terreno mapp. n. (OMISSIS) sita tra i due fabbricati apparteneva alla convenuta ( F.) sia pure unitamente a terzi.

Ciò sarebbe dimostrato anche dal fatto che in un'altra causa tra le medesime parti era stata viceversa accertata e dichiarata la comproprietà di F.T. sulla corte (OMISSIS) pertinenziale ai subalterni del fabbricato (OMISSIS). Il riferimento è alla sentenza n. 1692 del 2009 resa nel procedimento n. 2862 del 2006 presso la seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano.

1.3 Infine il compendio probatorio documentale descritto era anche integrato dalla consulenza tecnica espletata nella causa, la quale dopo il positivo confronto del titolo di proprietà della signora F. con la situazione reale dei luoghi confermava il diritto di proprietà sullo specifico mappale (OMISSIS).

La signora F., dunque, aveva assolto l'onere che l'art. 2697 c.c., richiedeva circa la proprietà della corte (OMISSIS) - in primo luogo producendo l'atto di donazione dal proprio padre - quindi, era legittimata a far valere il suo diritto.

1.4 La seconda censura relativa al primo motivo di ricorso è così rubricata: violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver privilegiato nell'interpretazione dell'atto di donazione del 1978 la comune intenzione dei contraenti quale desumibile dall'interpretazione letterale del documento e dal contegno complessivo delle parti ed aver così disatteso la titolarità del diritto di comproprietà della ricorrente sulla corte al foglio mappale (OMISSIS).

La ricorrente premette che l'accertamento dell'effettiva volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio, nel caso in discussione l'atto di donazione del 1978, si traduce in un'indagine di fatto, affidata ai giudici di merito, che può essere censurata in sede di legittimità per inadeguata motivazione ovvero per la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all'art. 1362 c.c..

In relazione alla violazione dei due richiamati profili la ricorrente deduce l'errata interpretazione del contratto, e la violazione della comune intenzione delle parti desumibile dal contratto, dal quale si evince come il padre non avesse l'intenzione di escludere la figlia F.T. dal novero dei comproprietari della corte comune facente parte del terreno su cui sorge il fabbricato (OMISSIS).

1.5 La terza censura inerente il primo motivo di ricorso è così rubricata: "violazione e falsa applicazione di legge (art. 1117 c.c.) ed omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, per non aver considerato la corte sul mappale (OMISSIS) del fg. (OMISSIS) quale ente comune ex art. 1117 c.c.".

La sentenza impugnata ometterebbe di affrontare l'invocata presunzione di comproprietà della corte mappale (OMISSIS) in virtù dell'art. 1117 c.c., norma, dunque, disapplicata. Il ricorrente fa ulteriore riferimento all'atto di donazione sopra richiamato, e censura la sentenza nella parte in cui afferma l'assenza di un valido titolo di acquisto da parte della F.. Inoltre sarebbe illogica anche l'affermazione della sentenza secondo cui in base all'allegato D della CTU il (OMISSIS) di proprietà della F. non confina con la corte (OMISSIS), sempre al fine di escludere la contitolarità della F. quanto alla porzione di spazio in esame.

1.6 Occorre premettere che "In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d'inammissibilità dell'impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l'esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati" (Sez. U., Sent. n. 9100 del 2015).

Va ulteriormente premesso che in relazione al vizio di motivazione denunciato trova applicazione ratione temporis l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione precedente la modifica introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012 (sentenza di appello pubblicata prima dell'11 settembre 2012), in base alla quale la sentenza poteva essere impugnata, in sede di legittimità, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e non solo nei nuovi e più ristretti limiti "dell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".

1.7 Le tre censure sopra riportate sono tutte dirette ad affermare che nel giudizio di merito la ricorrente aveva fornito la prova circa la proprietà o comproprietà del mappale (OMISSIS), circostanza negata sia dal giudice di primo grado che dal Giudice d'appello.

1.8 Sotto il profilo dell'invocata violazione di legge deve rilevarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte "Ove si deduca che il giudice ha fatto cattivo esercizio del proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita esclusivamente ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè la prima parte della censura articolata nel primo motivo, prospettata anche sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, è inammissibile (Cass. n. 13960 del 2014; Cass. n. 26965 del 2007).

Per quanto attiene al vizio di motivazione, invece, la censura è fondata.

A tal proposito secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte "l'azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell'"actio negatoria servitutis", essendo rivolta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell'immobile a cui favore l'azione viene esperita, essendo sufficiente che l'attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto (ex plurimis Sez. 2, Sentenza n. 25342 del 12/12/2016).

In tema di prova per presunzioni, il giudice, chiamato a esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti, deve esplicitare il criterio logico posto a base della selezione degli indizi e le ragioni del suo convincimento, tenendo conto che il relativo procedimento è necessariamente articolato in due momenti valutativi: il primo, di tipo analitico, volto a selezionare gli elementi che presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria, il secondo, di tipo sintetico, tendente ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze precedentemente isolate, per accertare se esse siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; è, pertanto, sindacabile in sede di legittimità la motivazione di tale percorso logico-giuridico quando siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un'oggettiva portata indiziante Sez. 3, Sentenza n. 23201 del 13/11/2015.

In altri termini, affinchè l'apprezzamento dell'efficacia sintomatica dei fatti noti sfugga al sindacato del giudice di legittimità, è necessario, non solo che essi vengano considerati sia singolarmente che nella loro globalità, all'esito di un giudizio di sintesi, ma anche che del convincimento così maturato il decidente dia una motivazione adeguata e corretta sotto il profilo logico e giuridico (cfr. Cass. civ. 28 ottobre 2014, n. 22801; Cass. civ. 6 giugno 2012, n. 9108). Il che, specularmente, comporta la sindacabilità di una valutazione che abbia pretermesso, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un'oggettiva portata indiziante.

Dunque, la Corte d'Appello di Milano ha omesso di compiere quel giudizio di sintesi di tutti gli elementi indizianti risultanti dall'istruttoria, limitandosi a considerarli solo nella loro individualità, in particolare: il citato atto di donazione; le risultanze della consulenza tecnica, in relazione allo stato dei luoghi; la natura pertinenziale della corte oggetto di contestazione; la sentenza n. 1692 del 2009, resa nel procedimento n. 2862 del 2006 presso la Corte d'Appello di Milano, seconda civile tra le medesime parti, con la quale era stata accertata e dichiarata la comproprietà di F.T. sulla medesima corte (OMISSIS), pertinenziale ai subalterni del fabbricato (OMISSIS) (vedi pag. 10 del ricorso). Tale statuizione, peraltro, è passata in giudicato con sentenza confermativa di questa Corte n. 7058 del 2017.

A ciò si aggiunga che la motivazione in ordine alla presunzione di comproprietà del bene, ai sensi dell'art. 1117 c.c., è del tutto insufficiente. La Corte d'Appello, infatti, al fine di escludere la presunzione di contitolarità della F. quanto alla porzione di spazio in esame si è limitata ad affermare che la ricorrente non aveva chiesto alcun accertamento istruttorio sul punto e che dagli atti emergeva che il (OMISSIS) di proprietà della F. non confinava con la corte (OMISSIS).

La giurisprudenza di questa Corte in tema di presunzione di comproprietà ha ripetutamente affermato che "In tema di condominio degli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., trova applicazione anche nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano" Sez. 2, Sent. n. 17993 del 2010.

Il principio è stato affermato anche con riguardo ad edifici limitrofi strutturalmente autonomi; in particolare si è detto che "la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., senz'altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, può ritenersi applicabile in via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purchè si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all'uso od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano" (Sez. 2, Sentenza n. 14559 del 30/07/2004).

1.12 In conclusione le rilevate lacune argomentative - che lasciano intravedere veri e propri deficit cognitivi - vulnerano l'iter decisorio e impongono un nuovo esame degli elementi probatori offerti dall'attrice, essendo sufficiente che questa dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, il possesso del fondo di cui in contestazione rispetto alla disciplina delle distanze.

2. Il secondo motivo di ricorso è anch'esso strutturato in distinte censure.

2.1 La prima censura è così rubricata: "violazione e falsa applicazione dell'art. 905 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto violate, dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato D., le distanze dal confine del mappati (OMISSIS) del fg. (OMISSIS)".

Secondo la ricorrente al positivo accertamento della sua titolarità del diritto di comproprietà sulla corte mappale (OMISSIS) dovrebbe conseguire il riconoscimento dell'illegittimità della sopraelevazione del D..

Sulla base della nozione di sopraelevazione da accogliere, il sovralzo e le vedute realizzate dal controricorrente violerebbero quanto disposto dall'art. 905 cod. civ.rispetto alla distanza dal confine del fondo (OMISSIS) di F.T..

2.2 La censura è assorbita dall'accoglimento del primo motivo.

2.3 La seconda censura proposta con il secondo motivo è così rubricata: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, artt. 8 e 9 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto violate dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato D. le distanze dei fabbricati sui mapp. (OMISSIS), (OMISSIS), foglio (OMISSIS).

Rileva la ricorrente che le norme citate, di cui la sentenza non ha tenuto conto, hanno natura di norme primarie prevalenti ed inderogabili per tutti i regolamenti edilizi approvati dopo l'emanazione del suddetto decreto ministeriale.

La censura si fonda sul fatto che il fabbricato della F. è in zona A nella quale le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti e la sopraelevazione, considerata alla stregua di nuova costruzione, deve essere inderogabilmente posta a distanza di 10 mt. dagli altri fabbricati. Nella specie considerate le misurazioni del consulente tecnico d'ufficio le distanze erano inferiori. Anche in relazione alle altezze massime degli edifici sarebbe violato il disposto dell'art. 8 del medesimo decreto.

2.4 La censura è fondata.

Impregiudicata la questione relativa alla prova circa la comproprietà della ricorrente in ordine al mapp. (OMISSIS), che spetterà al giudice del rinvio valutare, deve osservarsi che la motivazione della Corte d'Appello in ordine alla sopraelevazione non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia.

Devono richiamarsi i seguenti principi del tutto consolidati:

In tema di distanze tra costruzioni, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica Sez. U, Sentenza n. 14953 del 07/07/2011 (Rv. 617949).

Inoltre del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 1, n. 2), - emanato in forza della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies, aggiunto della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17 - in base al quale la distanza tra pareti finestrate di edifici frontisti non deve essere inferiore a dieci metri, si riferisce alle sole nuove edificazioni consentite in zone diverse dal centro storico (zona A), posto che in questo ultimo, dove vige il generale divieto di costruzioni ex novo, la norma si limita a prescrivere che la distanza non sia inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati preesistenti (Sez. 2, Sentenza n. 12767 del 20/05/2008).

La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze come nuova costruzione (Sez. 3, Sentenza n. 21509 del 1/10/2009.

Orbene la Corte d'Appello di Milano non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e, al contrario, ha ritenuto che il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, non fosse immediatamente operante nei rapporti fra i privati, nonostante l'adozione nel Comune di Civo del piano regolatore sin dal 1984 e, in secondo luogo, ha ritenuto, sulla base del rilievo del C.T.U., che la normativa applicabile fosse quella codicistica perchè il manufatto di cui ai mappali (OMISSIS) era ricompreso nella zona A1-R del piano regolatore comunale e nelle zone A del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, nonostante si trattasse di una sopraelevazione, da intendersi sempre come nuova costruzione. Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto:

I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2 (emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies - c.d. legge urbanistica, aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17) che prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica, trovano applicazione anche con riferimento alle nuove costruzioni, quali devono considerarsi le sopraelevazioni effettuate in zona A (centro storico) dove, vigendo il generale divieto di realizzazione di costruzioni ex novo, è previsto solo che le distanze tra gli edifici interessati da interventi di ristrutturazione e di risanamento conservativo (i soli consentiti), non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i preesistenti volumi edificati.

2.5 La terza censura proposta con il secondo motivo di ricorso è così rubricata "omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver ritenuto violate dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato D. le disposizioni del piano regolatore generale 1994 del Comune di Civo vigente all'epoca dell'effettuazione delle opere.

La censura deve ritenersi assorbita.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: "violazione e falsa applicazione dell'art. 167 c.p.c., comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto l'inammissibilità della domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di veduta dal ballatoio con ringhiera e violazione dell'art. 2697 c.c., per aver ritenuto esistente da oltre vent'anni il manufatto de quo.

Si deduce il vizio di ultra petizione della sentenza gravata laddove riconosce l'esistenza ultraventennale del balcone con ringhiera in quanto D. aveva posto la domanda riconvenzionale diretta all'usucapione oltre il rituale termine di venti giorni prima dell'udienza ex art. 167 c.p.c..

Nè tale domanda poteva essere riqualificata come eccezione.

Inoltre si contesta che la Corte abbia deciso sulla base del riscontro probatorio derivante da una fotografia senza invece prendere in considerazione le dichiarazioni testimoniali richieste dalla difesa della F..

3.1 Con il terzo motivo viene proposta anche l'ulteriore censura così rubricata: "violazione e falsa applicazione di legge (art. 905 c.c.) in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto violate dalle nuove opere (ringhiera sul ballatoio e tettuccio) le distanze dal confine con il mapp. n. (OMISSIS) e dal fabbricato mapp. (OMISSIS).

Secondo la ricorrente entrambe le opere non possono essere ritenute aventi funzione meramente ornamentale o di minima entità e dunque sono soggette alle prescrizioni normative sulle distanze.

3.2 Il terzo motivo nella prima parte è infondato e nella seconda inammissibile.

E' infondato perchè secondo la giurisprudenza consolidata cui il Collegio intende dare continuità "La decadenza dalla proposizione di domanda riconvenzionale di usucapione, per inosservanza del termine stabilito dall'art. 166 c.p.c., non impedisce alla stessa di produrre gli effetti di una semplice eccezione di usucapione, mirante al rigetto della pretesa attrice, sempre che la costituzione sia comunque avvenuta nel termine utile per proporre le eccezioni" (ex plurimis Sez. 2, Sentenza n. 10206 del 19/05/2015).

E' inammissibile nella parte in cui pretende una nuova valutazione delle prove o del carattere di accessorietà della ringhiera e del tettuccio. Si è già detto, infatti, che secondo il consolidato orientamento di Questa Corte "il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010 Rv. 612745).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: "violazione falsa applicazione di legge degli artt. 244, 245, 253 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ammesso le prove orali ritualmente dedotte dall'attrice in primo grado con memoria 5 gennaio 2007 ed omessa motivazione sul punto.

Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

Il vizio di omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di fondamento (ex plurimis Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007.

5. In conclusione, il ricorso va accolto, limitatamente alla prima censura del primo motivo e alla seconda censura del secondo motivo, assorbite le restanti censure dei medesimi motivi, rigettati il terzo e quarto motivo, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano, la quale procederà ad un riesame della causa uniformandosi agli enunciati principi e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta il terzo e quarto motivo, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2018


Avv. Francesco Botta

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